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Ovest. Venticinque anni di lotte No Tav in val di Susa

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22 Feb 2016 11.54

“Un posto in prima fila”

Alle 11.15 del 27 gennaio 2016, sotto un cielo denim chiaro, dopo aver attraversato il borgo di Chiomonte e raggiunto la riva sinistra della Dora, ci presentammo al checkpoint di via dell’Avanà, poco oltre la centrale idroelettrica.

La centrale. Sorella piccola delle montagne, sposa del fiume dal 1910, era stata nutrice delle industrie della val di Susa e di Torino. Si stagliava, virata in seppia e fiera del suo lavoro, in cartoline d’epoca vendute su ebay, e gli scolari venivano ancora a vederla, ad ammirarla, perché era stata una grande opera di quelle sensate, lei, e funzionava ancora, serviva ancora, lei. Altre opere lì nei paraggi, invece… tsk.

Al posto di guardia, una triste casupola esalò fumo biancastro e tre poliziotti blu di Prussia, che subito fermarono l’auto. Usarono la terza persona plurale come pronome di cortesia e il verbo “favorire” nell’accezione tipica delle guardie: “Favoriscano i documenti. Dove stanno andando?”.

Fu allora che cominciò il battibecco.

Volevamo andare prima alla Maddalena, la cascina sull’orlo del cantiere-fortilizio, poi ai terreni posseduti dai No Tav in località Colombera, per unirci a uno dei famosi “pranzi del mercoledì”. Con noi c’erano due dei 1.400 proprietari, Guido e Nicoletta.

Si chiamava la Colombera perché, sulla collina, si ergeva una torre abbandonata e ammantata di rampicanti che era servita, appunto, da colombaia. Un tempo ce n’erano tante, sparse in tutto il nord Italia, da Ventimiglia a Venezia. Si allevavano colombi per vari motivi: per mandarli in giro con messaggi; per addestrare gli stormi e farli volare in apposite competizioni; per farne richiami da caccia; per mangiarli… e per tutte queste cose insieme. E poi, i colombi erano belli. Erano magici. Ricordavo colombe bianche uscire in un frullo d’ali dalle maniche di Silvan. Mariano, il mio amico mago, mi aveva raccontato di un illusionista alcolizzato che aveva perso i sensi poco prima dello show e, crollando al suolo, aveva schiacciato tutte le colombe che portava nascoste nel blazer, prigioniere.

Alla mia domanda su chi avesse allevato colombi in quella torre, Abraracourcix aveva sciorinato informazioni: “Fino al 1713 Chiomonte e la val Clarea erano terra di confine tra il regno di Francia (e prima ancora il Delfinato) e le terre dei conti di Savoia… È probabile che ci fosse una guarnigione, e che questa allevasse piccioni per poter comunicare con le guarnigioni di Oulx e Briançon. In seguito la torre è rimasta, e probabilmente i colombi erano allevati per cibarsene”.

La Colombera mi faceva pensare al mago etilista dell’aneddoto: solinga, piena di fantasmi di uccelli da diporto, stava proprio sul ciglio di un dirupo e sembrava vacillare, sbilanciata da un cappuccio di rampicanti. Quanto al dirupo, s’affacciava su un orrido. Scendevi una scalinata e arrivavi alla sorpresa: uno specchio d’acqua sotterraneo che pochi conoscevano. Figurava già, con il nome di Lago piccolo, nella Carta topografica in misura della Valle di Susa e di quelle di Cezane e Bardonneche divisa in nove parti, realizzata dai cartografi sabaudi tra il 1764 e il 1768. Era acqua risorgiva della Dora, sbucava lì passando per chissà quali anfratti, limpida, perfettamente trasparente e dunque verde smeraldo, come il fondo nel quale l’occhio andava a distendersi.

Nel 2008, quand’era ministro dei trasporti tale Antonio Di Pietro, nei pressi della Colombera doveva sbucare ben altro: il (ratataplan!) “tunnel di base” della Torino-Lione. Si parlava anche di un viadotto attraverso le Gorge della Dora. Il movimento aveva avuto l’idea di comprare il terreno, dividendolo poi in 1.397 minilotti da meno di un un metro quadro, ciascuno proprietà di un attivista. L’intento era complicare le procedure di esproprio; in subordine, si voleva stabilire un nuovo avamposto. La prima festa dell’acquisto collettivo, chiamata Compra un posto in prima fila, si era svolta il 30 marzo 2008, una delle tante giornate memorabili nella storia e nella tradizione orale dei No Tav.

Nel giugno dello stesso anno si era fatto il bis a Venaus: 1.500 acquirenti No Tav per il terreno dov’era sorto il presidio più famoso, quello sgomberato dalla polizia il 5 dicembre 2005 e riconquistato tre giorni dopo da una moltitudine mai vista prima, un’alluvione di corpi che aveva travolto e messo in fuga le forze dell’ordine. Era stata la vittoria più importante, quella che aveva costretto l’avversario a cambiare piani, a ritrarsi dalla bassa valle e salire, inerpicarsi, cercare una gola in alta valle dove andarsi a rintanare.

Il terzo acquisto di massa era avvenuto più alla chetichella. Nel gennaio 2010, i No Tav avevano appreso che il cantiere del “cunicolo geognostico”, quello sbaraccato a Venaus quattro anni prima, avrebbe aperto in val Clarea, tra Giaglione e Chiomonte, accanto ai piloni dell’autostrada, nei pressi della cascina che i valligiani chiamavano – per via di un’immagine di donna affrescata su un muro – La Maddalena. Sessantaquattro No Tav erano andati dal notaio e avevano comprato un terreno proprio dove la bestia voleva riaprire le fauci. Un terreno fino a quel momento oscuro e ingrato, ma strategico per contrastare gli invasori nonché, di lì a poco, destinato alla celebrità: la “particella numero 31, foglio XV, seminativo di 889 metri quadri”.

CONTINUA…..http://www.internazionale.it/reportage/2016/02/22/no-tav-lotte-val-di-susa


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